CORTE APPELLO FIRENZE 
 
    La Corte d'appello di Firenze, sezione  I  civile,  composta  dai
magistrati: 
    dott. Pietro Mascagni, presidente; 
    dott. Nicola Antonio Dinisi, consigliere; 
    dott. Eugenia Di Falco, consigliere rel., 
ha pronunziato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    Nel procedimento iscritto sub n. 299-2014 promosso da de Courtois
Fredric  Marie  (avvocati  F.  Troisi,  A.  Botto,  F.  Pacciani,  M.
Santini); 
    Contro Commissione nazionale per le societa' e la borsa (avvocati
S. Providenti, M.L. Ermetes e R. Vampa); 
    E  con  intervento  del  P.G.  la  Corte  letti  gli   atti   del
procedimento, 
 
                        Osserva quanto segue: 
 
    La Commissione nazionale per le societa' e  la  borsa  (d'ora  in
avanti, anche solo Consob) con delibera n. 18856  in  data  9  aprile
2014 ha applicato a de Courtois Frederic Marie (unitamente  ad  altri
esponenti della Banca Monte dei Paschi di Siena variamente sanzionati
- obbligata in solido la Banca Monte dei Paschi di Siena  s.p.a.)  la
sanzione pecuniaria amministrativa complessiva di € 150.000,00 per le
seguenti violazioni (ascrittegli quale componente del componente  del
consiglio di amministrazione di MPS nel periodo dal 1° settembre 2010
al 30 ottobre 2012): 
    irregolarita'  relative  alla   disciplina   dei   conflitti   di
interesse, ex art. 21, comma 1-bis, lettera a) del TUF e articoli  23
e 25 del regolamento congiunto durante il periodo  dal  1°  settembre
2010 al 30 ottobre 2012; 
    irregolarita' relative alla valutazione della  adeguatezza  delle
operazioni, ex art. 21, comma 1, lettera d) TUF e art. 15 regolamento
congiunto durante il periodo dal 1°  settembre  2010  al  30  ottobre
2012; 
    irregolarita' relative alle modalita'  di  pricing  dei  prodotti
emessi dal gruppo, ex art. 21, comma 1, lettere a) e d) TUF e art. 15
regolamento congiunto durante  il  periodo  dal  1°  settembre  2010;
avverso tale delibera Caltagirone Gaetano ha proposto  opposizione  a
questa Corte, ex art. 195, comma 4 del decreto legislativo n. 58/1998
deducendo: 
    1) eccesso di potere, in particolare per carenza di istruttoria e
di  motivazione,  travisamento  dei  fatti,   contraddittorieta'   ed
illogicita' manifesta; 
    2) assenza di  responsabilita'  commissiva  del  ricorrente,  per
estraneita' del C.d.A rispetto alle violazioni sanzionate, alla  luce
della ripartizione di ruoli e competenze all'interno  della  Banca  e
considerato comunque l'adempimento dei propri doveri  di  consigliere
non esecutivo; 
    3) violazione e falsa applicazione degli articoli 2381 e 2392 del
codice civile, del paragrafo 2 delle disposizioni di vigilanza  della
Banca d'Italia 4 marzo 2008 in materia di compliance e  dell'art.  11
del regolamento congiunto; 
    4) violazione e falsa applicazione dell'art. 11  della  legge  n.
689/1981 in materia  determinazione  della  sanzione  pecuniaria  per
violazione del principio di parita' di trattamento; 
    5) violazione e falsa  applicazione  del  regolamento  congiunto,
delle disposizioni di vigilanza e dell'art. 3 della legge n. 689/1981
in relazione alla valutazione delle irregolarita' sanzionate. 
    Consob si e' costituita in giudizio, ha resistito all'opposizione
e ne ha chiesto il rigetto; la causa e'  stata  chiamata  all'udienza
camerale del 28 novembre 2014. 
    In limine Consob ha chiesto la trattazione in  udienza  pubblica,
l'opponente ha contestato tale richiesta, la  Corte  ha  disposto  la
prosecuzione della trattazione in camera di consiglio ed all'esito ha
riservato la decisione. 
    Cio' posto, ed in relazione alla  modalita'  di  trattazione  del
procedimento in camera di consiglio prevista dall'art. 195,  comma  7
del T.U.F., deve rilevarsi d'ufficio la questione della  legittimita'
costituzionale  della  anzidetta  norma  processuale   in   relazione
all'art. 117, comma 1 della  Cost.  che  prescrive  che  la  potesta'
legislativa  e'  esercitata  nel  rispetto  dei   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e  dagli  obblighi  internazionali,  con
specifico riferimento all'art. 6, § 1 della Convenzione EDU  inerente
il diritto alla pubblicita' del giudizio. 
    La problematica deve essere esaminata  partendo  dalla  premessa,
affermata dalla giurisprudenza EDU, che tutte le misure di  carattere
punitivo  afflittivo   (ivi   comprese   evidentemente   quelle   che
l'ordinamento interno qualifica come sanzioni amministrative)  devono
essere soggette alla medesima disciplina  della  sanzione  penale  in
senso stretto. 
    Nella sentenza n. 18640 del 4 marzo 2014, resa in un caso in  cui
si discuteva di sanzioni per illeciti ex art. 187-ter del TUF, si  e'
affermato che se non e' incompatibile con la Convenzione EDU affidare
la repressione di violazioni ad una autorita' amministrativa quale e'
la Consob perche' a prescindere da  carenze  di  contraddittorio  che
possano essersi verificate in alcune fasi del procedimento il diritto
di difesa viene assicurato dalla  possibilita'  di  ricorrere  ad  un
giudice dotato di giurisdizione piena quale  e'  la  corte  d'appello
(cio' in quanto:  1-  non  era  contrario  alla  Convenzione  che  le
sanzioni, giusta  la  normativa  interna,  fossero  inflitte  da  un'
autorita' amministrativa quale e'  la  Consob;  2-  occorreva  che  i
soggetti destinatari passivi dei provvedimenti sanzionatori potessero
impugnarli dinanzi ad un tribunale in grado di dare una decisione nel
rispetto dell'art. 6 della Convenzione; 3- cio'  era  avvenuto  nella
fattispecie  in  quanto  gli  interessati  si  erano  avvalsi   della
possibilita' di impugnare le sanzioni  inflitte  dinanzi  alla  corte
d'appello di Torino), deve tuttavia escludersi la legittimita'  della
trattazione in camera di consiglio. 
    Secondo la Corte EDU, infatti, la violazione dell'anzidetto  art.
6 sussiste in relazione alle modalita' di svolgimento del giudizio di
opposizione dinanzi alla Corte di appello, «organo  dotato  di  piena
giurisdizione», in riferimento alla assenza di udienza pubblica: «...
161. Alla luce di quanto esposto, la Corte ritiene che, anche  se  il
procedimento dinanzi alla CONSOB non ha soddisfatto  le  esigenze  di
equita' e di imparzialita' oggettiva dell'art. 6 della Convenzione, i
ricorrenti hanno beneficiato del successivo controllo da parte di  un
organo indipendente e imparziale dotato di  piena  giurisdizione,  in
questo caso la corte d'appello di Torino. Tuttavia, quest'ultima  non
ha tenuto un'udienza pubblica, fatto che,  nel  caso  di  specie,  ha
costituito una violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione.»). 
    Deve rilevarsi che la giurisprudenza della Corte  EDU  in  ordine
alla imprescindibilita'  della  udienza  pubblica  agli  effetti  del
rispetto dell'art. 6, § 1, della Convenzione non esprime un principio
assoluto valido per tutti i casi; ad es. nella sentenza  in  data  23
novembre 2006 nel caso Jussila contro Finlandia  la  Corte  EDU  dopo
aver  ribadito  che  tenere  un'udienza  pubblica  e'  un   principio
fondamentale posto dall'art. 6 della Convenzione e che tale principio
e' di particolare importanza nella materia penale, ha  osservato  che
«... l'obbligo di tenere un'udienza pubblica non e' assoluto.  L'art.
6  non  esige  necessariamente  di  tenere   udienza   in   tutti   i
procedimenti. CM vale, in particolare, per i casi che  non  sollevano
questione di credibilita' o che non scatenano controversia sui  fatti
che necessitano di una udienza e per  i  quali  i  tribunali  possono
pronunciarsi in modo equo e ragionevole sulla base delle  conclusioni
presentate dalle parti e di altri  elementi.  Inoltre,  la  Corte  ha
riconosciuto che le  autorita'  nazionali  possono  tener  conto  dei
problemi di efficienza ed economicita', ritenendo, per  esempio,  che
l'organizzazione  sistematica  di  dibattiti  possa   costituire   un
ostacolo alla particolare diligenza richiesta in materia di sicurezza
sociale ed,  in  definitiva,  impedire  il  rispetto  di  un  termine
ragionevole ai sensi dell'art. 6, § 1 ...»; ancora in  tale  sentenza
e' stato osservato che «... in un procedimento  di  prima  ed  ultima
istanza, l'udienza deve essere tenuta, salvo circostanze  eccezionali
che giustifichino di farne a meno  l'esistenza  di  tali  circostanze
dipende in gran parte dalla natura dei problemi di  cui  i  tribunali
sono investiti, e non dalla frequenza dei casi in cui  si  presentano
...». 
    Risulta dunque decisivo,  ai  fini  della  valutazione  circa  la
legittimita' della trattazione camerale, individuazione della  natura
della sanzione inflitta all'opponente de Courtois , che l'ordinamento
interno   qualifica   formalmente   come   sanzione   amministrativa,
qualificazione che deve essere compiuta alla  luce  dei  criteri,  da
ritenersi vincolanti, forniti dalla Corte EDU. 
    Orbene, considerata  la  particolare  gravita'  afflittiva  della
sanzione pecuniaria prevista dall'art. 190, del  decreto  legislativo
n. 58/1998 per  le  violazioni  dell'art.  21  dello  stesso  decreto
legislativo contestate all'opponente de Courtois in un importo  da  €
2.500,00 ad € 250.000,00 (al  riguardo  occorre  precisare  che  deve
aversi riguardo, agli effetti  che  qui  interessano,  alla  sanzione
edittale e non a quella in concreto irrogata in  quanto,  ovviamente,
l'individuazione  della  natura  della   sanzione   prescinde   dalle
circostanze che ne determinano la modulazione fra  il  minimo  ed  il
massimo), non puo' dubitarsi che si tratti  di  sanzione  lato  sensu
penale; convince ulteriormente della anzidetta  natura  l'esclusione,
disposta  dall'art.  190   del   decreto   legislativo   n.   58/1998
dell'applicabilita' dell'art. 16 della legge n.  689/1981  (pagamento
in misura ridotta) e, soprattutto, il  regime  pubblicitario  proprio
delle sanzioni Consob;  al  riguardo  occorre  ricordare  che  giusta
l'art.  195,  comma  3  del  decreto  legislativo  n.   58/1998   «Il
provvedimento  di  applicazione  delle  sanzioni  e'  pubblicato  per
estratto nel Bollettino della Banca d'Italia o della Consob. La Banca
d'Italia o la Consob, tenuto conto della natura  della  violazione  e
degli interessi coinvolti, possono stabilire modalita' ulteriori  per
dare pubblicita' al provvedimento, ponendo le relative spese a carico
dell'autore della violazione, ovvero  escludere  la  pubblicita'  del
provvedimento, quando la stessa possa mettere gravemente a rischio  i
mercati finanziari o arrecare un danno sproporzionato alle parti»: la
previsione di pubblicita' (nel caso in esame e' stata  confermata  la
pubblicita' normalmente prevista per estratto  nel  Bollettino  della
Consob), estensibile a  forme  ulteriori  (quali  la  pubblicita'  su
quotidiani), evidenzia ulteriormente il  carattere  afflittivo  della
sanzione, in ragione delle ripercussioni negative  sull'immagine  del
soggetto colpito dal provvedimento sanzionatorio. 
    Le considerazioni che  precedono  evidenziano  una  questione  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  195,  comma  7,  del  decreto
legislativo n. 58/1998, norma che potrebbe essere  in  contrasto  con
l'art. 117 Cost. in quanto non conforme all'art. 6 della Convenzione. 
    La questione oltre ad essere  non  manifestamente  infondata,  e'
rilevante in questo giudizio in  quanto,  accertata  la  natura  lato
sensu  penale  della  sanzione  giusta  i   vincolanti   criteri   di
valutazione posti dalla Corte EDU,  dovendo  questa  Corte  d'appello
necessariamente seguire il rito camerale imposto dall'art. 195, comma
7 del decreto legislativo n. 58/1998 (senza  che  sia  possibile  una
diversa  interpretazione,  salvo  una  inammissibile  disapplicazione
della norma, e senza che sia possibile introdurre il correttivo della
pubblicita' dell'udienza che, di per se', renderebbe non camerale  il
procedimento),  ed  essendo  il  rito  camerale,   per   definizione,
caratterizzato dalla assenza di  una  pubblica  udienza,  essendo  il
giudizio di opposizione, secondo la giurisprudenza  della  Corte  EDU
suscettibile di integrare, in presenza di determinate condizioni,  il
sistema di garanzie che deve connotare il procedimento sanzionatorio,
dove un giudizio che si svolge con il rito camerate fosse al riguardo
inidoneo, la conclusione obbligata sarebbe l'eccepita  illegittimita'
del procedimento sanzionatorio e del provvedimento sanzionatorio  che
lo conclude. 
    Preme rilevare che il sospetto di non conformita' a  Costituzione
(art.  117,  comma  1)  investe  l'art.  195,  comma  7  del  decreto
legislativo n. 58/1998, e non anche le norme del codice di  rito  che
prevedono il rito camerale; la Corte costituzionale in ordine a  tale
rito si e'  gia'  espressa,  ed  occorre  segnatamente  ricordare  la
sentenza n. 543/1989 con la quale e' stato affermato che  secondo  la
costante giurisprudenza  della  Corte  stessa  «...  il  procedimento
camerale non e' di per se' in contrasto con il diritto di difesa,  in
quanto esercizio di quest'ultimo e'  variamente  configurabile  dalla
legge,  in  relazione  alle  peculiari  esigenze  dei  vari  processi
"purche' ne vengano assicurati lo scopo  e  la  funzione",  cioe'  la
garanzia del contraddittorio, in modo che sia escluso ogni ostacolo a
far valere le ragioni delle parti»; nella stessa  sentenza  e'  stato
osservato che «... L' adozione della procedura  camerale,  anche  nei
casi  in  cui  si  e'  in  presenza  di  elementi  di   giurisdizione
contenziosa, risponde  dunque  a  criteri  di  politica  legislativa,
inerenti  alla  valutazione   che   il   legislatore   compie   circa
l'opportunita' di adottare determinate forme processuali in relazione
alla natura degli interessi da regolare ed, in  quanto  tale,  sfugge
quindi al sindacato di questa Corte "nei limiti in  cui,  ovviamente,
non si risolve nella violazione di specifici precetti  costituzionali
e non sia viziata da irragionevolezza" (ordinanza n. 748 del  1988  e
sentenza n. 142 del 1970)»; la Corte cost. nella detta sentenza,  non
ha mancato di rilevare che il rito camerale non viola il  diritto  di
prova in quanto «... anche nel rito camerale in appello e'  possibile
acquisire  ogni  specie  di  prova  precostituita  e  procedere  alla
formazione di qualsiasi prova costituenda, purche' il  relativo  modo
di assunzione - comunque non formale nonche' atipico - risulti, da un
lato, sempre compatibile con la natura camerale del procedimento,  e,
dall'altro, non violi il principio  generale  della  idoneita'  degli
atti processuali al raggiungimento del loro scopo ...». 
    La questione pero' non e' quella di stabilire se il rito camerale
assicuri sufficientemente la difesa  od  il  contraddittorio,  bensi'
quella di stabilire se un'opposizione avanti ad un giudice dotato  di
giurisdizione piena ma vincolato al  rito  camerale  possa  integrare
carenze del procedimento sanzionatorio Consob; una risposta  negativa
al  quesito  porrebbe  il  detto  art.  195,  comma  7  del   decreto
legislativo in contrasto con l'art.  6,  §  1  della  Convenzione  e,
quindi,  con  l'art.  117  Cost.;  il  dubbio  al  riguardo  non   e'
manifestamente infondato stante  la  ricordata  giurisprudenza  della
Corte EDU laddove ha segnalato la particolare importanza dell'udienza
pubblica quando si discute di sanzioni  penali;  certo,  come  si  e'
detto, il principio  della  pubblicita'  dell'udienza  non  e'  stato
espresso in termini assoluti, e la necessita' o meno di una  pubblica
udienza va ricostruita  in  relazione  alla  natura  della  questione
controversa,  ma  tale  operazione  si  risolve   nel   giudizio   di
conformita'  all'art.  117,  comma  1  Cost.   della   detta   norma,
conformita' sulla quale questa Corte non puo' non esprimere un dubbio
sulla base della giurisprudenza della Corte EDU  (analoga  questione,
per altro, risulta sollevata recentemente dalla  Corte  d'appello  di
Genova; con ordinanza 10 dicembre 2014-8 gennaio 2015).